Noto anticamente come Lan Xang (‘regno del milione di elefanti’), il Laos, paese segnato da invasioni e guerre, stretto fra il Vietnam e la Thailandia, abbandona progressivamente il secolare isolamento per apririsi alla modernità e allo sviluppo. Sviluppo che può però comportare notevoli difficoltà e rischi: nel Laos, infatti, l’economia e la cultura sono ancora fortemente ancorate alle antiche tradizioni.
Il Laos incomincia a svegliarsi dal profondo sonno e dall’isolamento che lo avvolgono sin dal secolo scorso, quando, a fine Ottocento, stretto tra il corso del Mekong e i monti Annamiti, fu colonizzato da distratti funzionari francesi preoccupati da una sola cosa: farne una specie di cuscinetto per proteggere l’Annam e il Tonchino dalla presenza britannica nella vicina Birmania. Dopo la liberazione, il paese attraversa un lungo periodo di cambiamenti interni. Dal lungo isolamento, il paese riemerge solo ora, già si intravedono i segni dell’influenza della Thailandia, con la sua ricchezza, i suoi eccessi e i suoi orrori.
Secondo la World Conservation Union, metà del territorio laotiano è ricoperto da foreste vergini, ma nel Nord la percentuale è ben più alta. Le poche radure sono state ricavate a fatica dagli abitanti sui versanti delle montagne per fare spazio a villaggi e risaie. Il riso viene coltivato con la tecnica ‘taglia e brucia’, metodo estensivo e di scarso rendimento, ma la foresta non è minacciata: sotto la sua volta, nel 1995 i ricercatori dell’Uicn hanno scoperto due nuove specie di grandi mammiferi, il Saola (Pseudoryx nghethingensis) e il Muntjak gigante (Megamuntiacus vuquangensis), oltre a ritrovare le tracce del maiale selvatico del Vietnam (Sus bucculentes), ritenuto estinto da almeno un secolo. Al mercato di Muang Sing, piccola, indaffarata città di frontiera, ci sono tutti, fin dal primo mattino: gli scontrosi, o forse solo riservati e timorosi Iko, i Hmong e i Lantene che vendono il bottino di una caccia fortunata, le donne Yao, con i caratteristici boa di cotone rosso al collo, che propongono tessuti e carta, una specie di papiro ottenuto facendo essiccare al sole un impasto di bambù e altri vegetali ricchi di resina.
Di villaggio in villaggio, le stesse genti che in Thailandia sono diventate un triste spettacolo a pagamento per turisti qui sembrano socievoli e scambiano volentieri due parole con gli stranieri, senza pretendere soldi in cambio. In queste montagne, dove nello spazio di un mattino si passa dall’inverno all’estate, dove una frana durante la stagione delle piogge significa mesi di isolamento, la libertà di questi popoli di essere se stessi non è ancora minacciata dalla nostra invadenza.
Lo sviluppo del Laos
Nelle pagine del suo Mekong Diary, pubblicato solo due anni fa, il giornalista americano esperto di Indocina Stan Sesser non crede all’arrivo dello sviluppo in queste terre. La mancanza di corrente elettrica, i ponti pericolanti, la condizione delle strade rendono l’ipotesi poco probabile. Ma oggi le ruspe sono al lavoro ovunque, il ‘nuovo’ avanza. Sulle bancarelle lungo il Mekong, accanto a pesce e frutta stanno arrivando i falsi Rolex fabbricati in Thailandia. Intanto, ogni giorno una lunga fila di veicoli attende di passare il posto di frontiera di Chong Mek, sono per lo più camion che trasportano teak e mogano: anche quest’anno 200.000 ettari di foresta laotiana saranno trasformati in valuta pregiata.